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  • Venerdì 31 Gennaio, 2014
  • GAZZETTA NAZIONALE
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Piace e sa vincere è il nuovo Real stile Ancelotti

di ROBERTO PELUCCHI di valerio marini di SANTIAGO SEGUROLA

Adjunto al director di «Marca»

quotidiano sportivo spagnolo Carlo Ancellotti, 54 anni EPA Solo i nostalgici dello schiamazzo e delle polemiche - e non sono pochi - ricordano con affetto i giorni di José Mourinho, l’uomo capace di trasformare il Real Madrid in un club stridente, lamentoso e quanto mai lontano dalla sua vecchia identità. Questa nostalgia, masochista, per il rumore e lo stress non solo appartiene alla fazione più dura del tifo e dei giornalisti, ma è anche difesa da alcuni dei dirigenti più potenti del club, ancora affascinati da un allenatore che ha saputo rendere antimadridisti quanti erano neutrali e ha inferto un duro colpo al prestigio di un’istituzione da sempre attenta alla forma e allo stile.

I portavoce mediatici di tale corrente trovano spazio nei giornali, e nelle trasmissioni televisive e radiofoniche. Non provano simpatia per Ancelotti, che vedono come l’usurpatore di un incarico che sarebbe dovuto appartenere in eterno a Mourinho, l’allenatore fermo e duro, contro tutto e tutti, l’uomo delle verità assolute, the Special One. Un modo assai peculiare di definirlo. Altri, probabilmente la maggioranza, usano «elogi» opposti: tiranno, demagogo, incoerente, volgare.

Il lavoro di Ancelotti non era facile. Le persone come Mourinho lacerano e dividono le squadre per cui ha lavorato. La sua successione era ed è complicatissima. Tuttavia Ancelotti ha un vantaggio rispetto alla gran parte degli allenatori: vanta un curriculum notevole, addirittura più di quello del portoghese, ha guidato grandi squadre, alcune delle più forti del pianeta, ha giocato nella Roma e nel migliore Milan della storia, ha fatto parte dell’esigente Nazionale italiana, conosce questo mondo da quando era un bambino. È pertanto uno dei pochi allenatori che si possono avvicinare al Real Madrid senza paura e uno dei pochissimi che dispone del palmarès e del carattere necessari per succedere a Mourinho senza preoccupazioni di sorta.

Quando arrivò a Madrid, Ancelotti sapeva che il Real è probabilmente il club con le maggiori e migliori capacità per autorigenerarsi rapidamente. Da Madrid sono passati Di Stefano, Puskas, Gento, Amancio, Pirri, la Quinta del Buitre, Raul, Zidane, Figo e Ronaldo. Ed allenatori per tutti i gusti: da Miguel Muñoz e Del Bosque, a Boskov, Beenhakker e Capello. Mourinho è solo uno della lista, e non ha di certo vinto più dei suoi predecessori, anzi meno, nonostante avesse potuto contare su risorse che mai, in precedenza, un allenatore aveva avuto a disposizione: Cristiano Ronaldo, Özil, Casillas, Xabi Alonso, Benzema, Higuaín, Sergio Ramos, Marcelo, Modric, Di María, Pepe.

Ancelotti sa che il Real è così forte e fertile che può rinascere in una notte, come la pampa argentina. Ora si trova nella posizione perfetta per tentare l’assalto ai tre grandi titoli: Liga, Copa del Rey e Champions. È una sfida enorme, però tutto lascia pensare che le condizioni calcistiche ed emotive della squadra siano migliori rispetto a quelle degli ultimi tre anni. Un segnale: il Real non ha subito nemmeno un gol nelle otto partite - quattro di Liga e quattro di Copa - che ha disputato a gennaio. È vero che non si è misurato con nessun gigante, però è altrettanto vero che Diego López e Casillas, i due portieri, in ogni partita non sono stati altro che spettatori non paganti. La squadra non abbaglia, però gioca bene e soprattutto è efficace.

Ancelotti, che all’inizio della stagione sembrava non conoscere bene la rosa, ha risolto tutti i problemi in silenzio, senza gettare benzina sul fuoco, con la finezza diplomatica che ci si attende da un esperto italiano. Al contrario, la sua abilità nel risolvere i conflitti – il malcontento di Di Maria, per esempio, o la difficilissima situazione di Casillas, relegato in panchina nella Liga - ha permesso al Real Madrid di riappropriarsi delle condizioni che storicamente gli appartengono: ora vince, lo fa in silenzio, e ha recuperato quell’aura di serietà che aveva perso.

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  • 11 mesi dopo...
FA Cup, Mourinho: “Dobbiamo vergognarci, più che frustrazione parlerei di imbarazzo” Parole dure dello Special One che striglia i suoi ragazzi nel post gara della sfida persa contro il Bradford

domenica 25 gennaio 2015

Halliday, festa Bradford: che lezione al Chelsea E’ un centrocampista scozzese, ha 23 anni, ed è stato uno dei protagonisti della vittoria per 4-2 in casa del Chelsea, costata la clamorosa eliminazione della squadra di Mourinho dalla Coppa d’Inghilterra. E’ arrivato in prestito gratuito dal Middlesbrough. di Stefano Chioffi

ROMA - E’ costato settemila e cinquecento sterline, meno di una city-car, il Bradford dei miracoli, che ha eliminato il Chelsea dalla Coppa d’Inghilterra, vincendo per 4-2 a Londra, nel regno di Stamford Bridge. E’ un club di League One, che equivale alla Lega Pro: la sua rosa è formata da giocatori che sono stati tesserati in regime di svincolo più tre prestiti. Solo il cartellino dell’attaccante James Hanson, ventisette anni, ha comportato una spesa: settemila e cinquento sterline, circa diecimila euro. Un prezzo stabilito nel 2009 dal tribunale dopo un contenzioso con il Guiseley, la sua precedente squadra. Il Bradford ha sbarrato la strada al Chelsea di Mourinho nel quarto turno della FA Cup, dove le sorprese e le trappole non mancano mai per le big della Premier. Il Chelsea è uscito, ma anche il Manchester City si è arreso per 2-0 al Middlesbrough (Championship, serie B inglese) mentre il Manchester United di Louis Van Gaal ha pareggiato (0-0) con il Cambridge (League Two, quarta categoria) e si giocherà la qualificazione nel replay della sfida all’Old Trafford.

IL CAPOLAVORO - Il Bradford è settimo in classifica in League One (nove sconfitte in venticinque gare). E’ allenato da Phil Parkinson, classe 1967, che si è tolto la soddisfazione di spedire a casa Mourinho. Il Daily Mail ha dedicato ampio risalto all’impresa del Bradford, fiore all’occhiello - a livello sportivo - di una città di trecentomila abitanti, distante quasi ottanta chilometri da Manchester. Mourinho si è presentato con Cech in porta, Christensen e Azpilicueta sulle fasce, Zouma e Cahill al centro della difesa. Ramires e Salah esterni, Mikel nel ruolo di mediano, Oscar alle spalle delle punte Drogba e Remy. Ha portato in panchina Courtois, Fabregas, Hazard, Willian e Terry. Una squadra da duecento milioni di sterline, come rimarcato dal Daily Mail. Il Chelsea è stato travolto per 4-2 dopo essere passato in vantaggio con Chaill e Ramires. Poi si è addormentato e il Bradford si è portato sull’1-2 con Stead, ex Blackburn, in prestito dall’Huddersfield, prima di pareggiare con Filipe Morais, classe 1985, passaporto portoghese, un’ala che per tre anni (dal 2003 al 2006) aveva giocato nelle giovanili del Chelsea. Un capolavoro completato nella ripresa dai gol del centrocampista scozzese Halliday (arrivato in prestito dal Middlesbrough) e da Yeates, che si era svincolato nel 2013 dal Watford. Una festa fantastica davanti ai seimila tifosi del Bradford presenti allo Stamford Bridge.

LA COPPA DI LEGA - Non è la prima volta che il Bradford si regala giornate speciali. Quasi due anni fa, il 24 febbraio del 2013, aveva disputato la finale di Coppa di Lega, persa poi a Wembley contro lo Swansea, guidato in quel periodo dal danese Michael Laudrup. Il Bradford riuscì a eliminare l’Arsenal di Wenger nei quarti (dopo i calci di rigore) e l’Aston Villa in semifinale. Anche allora il tecnico era Phil Parkinson, arrivato nel 2011 e in grado di portare il club dalla League Two alla League One nel 2013. E’ inglese, è un ex centrocampista e ha indossato in passato la maglia del Southampton.

PRESTITO GRATUITO - «Complimenti al Bradford, ma provo vergogno per questa sconfitta, considerando la differenza di valori rispetto al Chelsea», ha commentato Mourinho davanti alle telecamere. Un’impresa da copertina, quella del Bradford, trascinato da Andy Halliday, arrivato in prestito gratuito a ottobre dal Middlesborugh, che ha deciso - alla vigilia della sfida con il Chelsea - di rinnovare l’accordo fino al termine della stagione. Ha ventitré anni, è una mezzala, è stato scoperto nel Middlesbrough da Gordon Strachan, che ora è il ct della Scozia. E’ alto un metro e 81, è nato a Glasgow l’11 ottobre del 1991, quattro presenze e due gol in Coppa di Lega (aveva già segnato contro il Millwall nel terzo turno). E’ mancino, il Middlesbrough lo aveva acquistato nel 2010 dal Livingston in cambio di centocinquantamila euro. Il Bradford lo sta valorizzando: una rete (all’Oldham Athletic) e tre assist, per Halliday, in League One. Il centrocampista potrebbe tornare in estate al Middlesbrough, che ha sbattuto fuori il Manchester City dalla Coppa di Lega ed è in lotta per salire in Premier: è secondo, ha 50 punti come l’Ipswich, uno in meno del Bournemouth.

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100 di questi giorni, Mou! :D

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