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Le palle di Robinho


Tersite
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vi riporto un articolo molto interessante da repubblica.it:

Nell'istituto di pena di Bollate, un programma che permette

di far convivere gli autori di reati sessuali con gli altri detenuti

Nel carcere dei "sex offenders"

"Qui riusciamo a recuperarli"

La diretttrice: "Su 80 soggetti trattati, solo tre sono stati recidivi"

di STEFANIA CULURGIONI

MILANO - Nella subcultura carceraria sono "gli infami". Nel gergo tecnico di psicologi e operatori penitenziari sono i "sex offenders". Qualunque sia il modo di chiamarli, una cosa è certa: quando entrano in galera, le persone che si sono macchiate di un reato sessuale vengono spedite dritte nei reparti protetti, e lì confinate. Separate da tutti, isolate dal resto dei detenuti, esiliate in un girone a parte. Ovunque, tranne nel carcere di Bollate.

Si chiama "Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e sezione attenuata" ed è una sperimentazione avviata nell'istituto di reclusione milanese solo tre anni fa. L'unico caso in Italia in cui, dopo un anno di terapia in un'unità specializzata all'interno del carcere, i detenuti possono lasciarsi alle spalle il reparto protetto e vivere quotidianamente insieme agli altri detenuti di reati "comuni".

"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".

Considerato uno degli istituti penitenziari più all'avanguardia, il carcere di Bollate è nato nel 2000 con un obiettivo: offrire all'utenza detenuta quante più possibili opportunità lavorative, formative e socio - riabilitative. Un modo costruttivo per abbattere il rischio di recidiva e favorire il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. "Perché una cosa è certa - continua la direttrice - pensare al carcere come a un luogo in cui si prende la chiave e la si butta via, non ha alcun senso. Non serve a niente. Il modo migliore per evitare che questi gravissimi fatti si ripetano ancora è accompagnare la galera a dei percorsi sensati. Non farsi prendere dall'onda emotiva, studiare bene le misure da adottare per evitare la recidiva. Affrontare il problema con razionalità. E poi, infine, 'sperare' nel soggetto. Perché più di ogni altra cosa, la scelta del recupero dipende dalla persona".

È il "violentatore", cioè, che deve dire "sì, voglio guarire". E i mezzi per farlo, a Bollate, li ha. L'équipe che si occupa di seguire i sex offenders nel loro percorso fa parte del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) di Milano. Un team composto da tre criminologi, sette psicologi, uno psichiatra, due educatori, un'arteterapeuta e uno psicomotricista. "La novità di Bollate sta nel fatto che è stata creata una vera e propria unità terapeutica a sé stante, interna al carcere, come se fosse una piccola comunità" chiarisce lo psicologo Luigi Colombo.

Ed è lì che, giorno dopo giorno, per un anno di fila, i colpevoli di reati sessuali devono affrontare il loro mostro interiore. "Il lavoro ha una cadenza giornaliera - continua Colombo - I colloqui sono individuali e di gruppo e tutto il progetto è incentrato sul riconoscimento del reato. Perché se c'è una cosa che il sex offender fa è proprio questa: negare, negare, negare. In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa più facile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella ma anche allo stesso operatore che è tutta un'invenzione, che si è innocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve a mettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Ed è lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con la propria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finiti in galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisce per credere".

Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione. E quando è finito, comincia la seconda parte: la vita fuori dal reparto protetto, in mezzo agli altri detenuti. "All'inizio, tre anni fa, non è stato facile - ricorda Lucia Castellano - gli 'altri' reagirono molto male, qualcuno decise di chiedere un trasferimento perché proprio non se la sentiva. Ma chi entra a Bollate oggi sa bene quello cui può andare incontro: se firma, accetta la possibilità di condividere la propria cella anche con un sex offender".

La maggior parte, stando ai numeri di Bollare, sono italiani che hanno commesso reati sessuali all'interno della famiglia. Padri su figlie, o patrigni su figli adottivi, spesso con la connivenza della madre. A volte amici dei genitori, ma comunque quasi sempre persone nel cerchio familiare. "Spesso si tratta di persone che hanno un comportamento esteriore molto contenuto, inibito, passivo - spiega Colombo - I reati di branco invece sono più limitati. Li commettono persone che hanno imparato un modello aggressivo di sessualità. Soggetti emarginati che utilizzano la violenza per rafforzare la propria identità virile. Lo fanno in gruppo perché, davanti agli altri, dimostrano a loro stessi di essere forti".

Per tutti loro stare in mezzo agli altri detenuti è un passo decisivo. "E' una specie di banco di prova per anticipare il proprio rientro nella società - continua lo psicologo - una società in cui, volenti o nolenti, saranno sottoposti a dure critiche".

Il CIPM segue in tutto circa 200 persone (una trentina dentro al carcere, gli altri in esecuzione penale esterna. Far emergere questi reati, in realtà, è davvero difficile. Le violenze sessuali sono quelle con il "numero oscuro" più alto di episodi non denunciati. "Ma una volta presi - ribadisce la direttrice - è necessario che vengano messi davanti quello che hanno fatto. Il carcere deve essere anche il momento della consapevolezza, il luogo in cui riflettere sulla propria personalità, per capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire. Solo così, forse, una volta fuori il sex offender non ripeterà più quelle terribili violenze".

(21 febbraio 2009)

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La sorte degli altri due non è importante e annoia i phorumisti, per cui limitiamoci a rendere onore all'efficienza delle intercettazioni telefoniche.

L'inquirente, anzi, inquisitore ahahah, così sei contento! :) Ha detto che restano in carcere per altri motivi, di cui abbiamo già parlato, e per accertare gli eventuali e probabili collegamenti con almeno uno dei due.

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non c'è limite al patetismo

ospite a «porta a porta»

Racz in lacrime: «Voglio stare in Italia»

Il romeno scagionato dall'accusa di stupro va in tv:

«Il reato della mia vita? Biglietto del treno non pagato»

Caffarella: confessano i due romeni. Racz in libertà (23 marzo 2009)

ROMA - Karol Racz, il romeno scarcerato lunedì dal Tribunale del Riesame, dopo aver trascorso più di un mese a Regina Coeli perché accusato degli stupri della Caffarella e di Primavalle, va in televisione e si racconta a «Porta a Porta» (video). «Vorrei stabilirmi a vivere in Italia, in Romania non saprei cosa fare» ha detto tra le lacrime. L'uomo ha ribadito «di non essere mai stato in alcun parco pubblico di Roma. Gli unici campi che conosco sono quelli che attraversavamo per accedere ai nostri insediamenti». Su Loyos, tuttora in carcere per calunnia: «Non so perché mi ha accusato, noi siamo sempre stati amici e l'ho anche aiutato economicamente».

BADANTE A LIVORNO - «Sono venuto per la prima volta in Italia nel 2007 - racconta -. Mi sono fermato per sei mesi a Livorno, dove abitavo in un campo nomadi i cui abitanti erano slavi. Lì lavoravo come badante per i figli delle persone che vivevano nel campo. Poi sono tornato in Romania e sono rientrato in Italia nel giugno-luglio 2008. C'era anche mio fratello e abbiamo vissuto in un campo rom a Roma, andavamo a raccogliere ferro e rame per poi rivenderlo».

NESSUN REATO - Nessun precedente pende su Karol Racz che respinge le accuse che parlano di quattro condanne per furto pendenti in Romania a partire dal '97: «Sono stato soltanto multato una volta perché mi hanno trovato sul treno, in Romania, senza biglietto». Non è un racconto divertente: sotto il regime Ceausescu era un reato penale, come ha spiega il suo legale Lorenzo La Marca. Racz racconta la sua storia da bambino quando a cinque mesi fu lasciato dai genitori in un orfanotrofio: «Non ho mai conosciuto i miei genitori, ho sette fratelli ma solo io sono stato affidato all'istituto per uscirne solo al compimento dei 18 anni. Poi ho cominciato a lavorare come panettiere e pasticciere presso un convento. A volte venivo pagato, ma in genere lavoravo per vitto e alloggio. Il mio sogno da bambino era quello di diventare monaco ortodosso».

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anche partecipare a porta a porta dovrebbe essere un reato (naturalmente ricordando che la dizione "reato penale" e' scorretta), ma nel caso si possono concedere della attenuanti.

Nel frattempo, riguardo lo stupro di capodanno, ho letto un paio di articoli che mi fanno pensare che la vicenda stia prendendo una sgradevole piega del tipo "tuttosommato anche la ragazza...". Fermo restando che il tutto ha dimostrato la profonda utilita' del decreto anti-stupri.

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Inviato (modificato)

c'è chi resta dentro un mese nonostante i test del DNA e nonostante abbiano preso i veri responsabili, e c'è chi invece esce subito.

La politica non c'entra nulla, è un problema sociale.

LA LETTERA

"Lui libero, io umiliata,

così rivivo quella violenza"

La testimonianza della ragazza che ha denuncia lo stupro alla Fiera di Roma: "Spero ancora nella giustizia"

Caro direttore,

è stato bello leggere la lettera di solidarietà di Daniela Valentini pubblicata da Repubblica. Mi ha fatto sentire meno sola. Lo so che tante donne e tanti uomini mi vogliono bene. Questo mi aiuta ad alleviare la difficile situazione dalla quale molte volte non vedo vie di uscita e di futuro.

Me lo avevano detto che le difese degli stupratori dicono sempre che le donne erano consenzienti o che sono delle provocatrici. Me lo avevano detto che le difese di questi "bravi ragazzi" cercano di far passare il messaggio che in fondo in fondo ogni donna stuprata è una poco di buono. Io non ci credevo, non volevo crederci. Pensavo che non esistessero persone così ciniche e così cattive, e poi, nel mio caso, pensavo, c'è la cartella clinica che dimostra la violenza che è stata esercitata contro di me.

Invece è successo anche a me, in una trasmissione televisiva il maschio viene giudicato non colpevole, io consenziente, da sola mi sono provocata i segni di strangolamento, le tumefazioni e le lacerazioni alla mia vagina.

Io ero una ragazza tranquilla, con il mio lavoro e la mia vita. Maledetta la scelta di passare la sera di capodanno a quella festa. Avevo lavorato fino alle ore 22 del 31 dicembre. Finito il mio turno, con un gruppo di amici abbiamo deciso di andare a Roma. Vorrei non esserci mai stata.

Oggi ho paura di tutto. Ho paura di camminare da sola. Ho paura del buio, ho paura del mio futuro. Vai ad una festa, un "bravo ragazzo" ti violenta e da allora cambia la tua vita. Ed il brutto è che cambia anche la vita della tua famiglia. Cara Daniela, lo so che non mi debbo vergognare, ma non è facile. Mi vedo sempre osservata, giudicata, condannata. Potrò dimenticare? Potrò ritornare a fare una vita normale? Avevo iniziato, ci stavo provando, e poi quella trasmissione televisiva, quella sentenza senza potermi difendere, mi ha fatto ritornare indietro.

Ora ho bisogno di dimenticare. Sono fiduciosa che sarà il vero processo a darmi giustizia. Nel frattempo spero di avere un po' di pace. Forse il silenzio sul mio caso mi potrà aiutare.

(29 marzo 2009)

Modificato da Tersite
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  • 1 mese dopo...

» 2009-05-22 16:11

Violenza sessuale: tredicenne adescata su Facebook

Arrestato l'attore comico milanese Billy Ballo

(ANSA) - MILANO, 22 MAG - Arrestato per violenza sessuale ad una tredicenne Alessio Saro, attore e comico televisivo milanese, conosciuto con il nome di Billy Ballo. Protagonista di videoclip trasmessi dal programma 'Mai dire martedi'', aveva conosciuto l'adolescente su Facebook. Lei lo aveva riconosciuto nonostante lo pseudonimo 'Neuron'. Poi il primo incontro e la notte con l'attore, che, secondo l'accusa, ha avuto con la giovane un rapporto completo.

non per cavalcare il qualunquismo, ma tra il popolo fioccano i gruppi che parlano di bimba puttana, di mamma che educa male, di gente che se n'approfitta per questioni di soldi e d'immagine.

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"tutto nasce da un’amicizia su Facebook: lei che chiede di entrare nella cerchia degli amici del comico idolo dei ragazzini, lui che non si fa scrupoli di avere un rapporto con un’ammiratrice ingenua e che non ha nemmeno l’età, 14 anni, considerata dalla legge come necessaria per un rapporto consenziente".

Cioè se era 14enne no problem? Non basta che sia minorenne? (Per la legge, intendo. Comunque considerare questa vicenda pari a una violenza a me è sempre parso eccessivo. Possiamo discutere di plagio, ma violenza dove non c'è stata violenza mi stona).

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  • 1 mese dopo...

http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/c...o-questura.html

secondo il DNA, lo stupratore seriale è un giovane italiano, laureando in legge con fidanzata e militante PD.

si attende editoriale di veltroni che esprime il suo sdegno citando tutta la mitologia criminale da jack lo squartatore a fred vargas.

(quanto a sopra, per la legge se ha meno di 14 anni non può esprimere il consenso, dunque se non esprime il consenso non è consenziente)

Modificato da Tersite
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  • 3 mesi dopo...

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/09_ottobre_21/viaggio_montalto_castro_capponi-1601901526310.shtml

Viaggio nel paese dove nel 2007 un'adolescente fu violentata da 8 coetanei (appena liberati)

Montalto, tutto il paese con gli stupratori

«Sono bravi ragazzi, la colpa è di lei»

Un 70enne: avessi avuto 13anni mi sarei messo in fila

Un carabiniere: perché ha parlato dopo un mese?

Nel paese degli stupratori (Jpeg)

Nel paese degli stupratori (Jpeg)

MONTALTO DI CASTRO (Viterbo) - Alle undici del mattino i tre adolescenti giocano a biliardo allo Zanzibar, un bar sul corso del paese: Marco, Simone e Stefano hanno, a guardarli, qualche anno in meno di quegli otto che due anni e mezzo fa stuprarono una coetanea in una pineta, per tre ore; e infatti dicono che «li conosciamo eccome, Tevez, Buddha, anche gli altri, sono a posto, non hanno alcun bisogno di stuprare ragazze, non è vero niente, piuttosto lei, che quello stesso pomeriggio, prima della festa, era andata con un altro...».

Comincia da qui - un bar con un biliardo e tre adolescenti lontani dalla scuola - il viaggio nel paese che difende gli aggressori e insulta la vittima: sarà lungo, ore e ore a parlare con la gente, e il risultato, alla fine, è quello. «Colpa di lei». Oppure: «Lei di certo non è una seria». O anche: «Ma se l’aveva già fatto con altri quattro...». Gli aneddoti, a Montalto di Castro, riguardano una ragazzina violentata. Alto Lazio, giornata così cristallina che in lontananza si vedono qua l’Argentario e là Capalbio, una meraviglia: e anche il paese è carino, con la sua piazza Padella, via dell’Ospizio, le sue trattorie, il corso, il castello, poche macchine. Tutto illuminato dal sole. Una meraviglia. E anche le persone sono cortesi, disponibili, gentili. I ragazzi - dai quindici ai venti, ventidue - si ritrovano al bar Oasi o al bar del Corso, il pomeriggio: sono lì a ridere e fare battute, fumare sigarette, indicare ragazze. Lì vanno anche Marco, Simone e Stefano: chiamano al telefonino uno degli otto aggressori - che per due anni e mezzo saranno «messi in prova» dal Tribunale dei minori, se la superano il reato è estinto - e spiegano che un giornalista vorrebbe parlargli. Quello, Alberto, dice una cosa sola: «Non voglio problemi, se gli avete dato il mio numero ditegli di cancellarlo».

Ragazzini al bar del paese (Jpeg)

Ragazzini al bar del paese (Jpeg)

I problemi, questi otto ragazzi dello stupro in pineta su una quindicenne, sperano di averli superati, adesso. Di certo, non solo i loro coetanei ma il paese tutto li difende. Giovani, anziani, anche le donne. E nel difenderli - quasi inevitabilmente - accusano la ragazzina. Dice Vittorio Bricca, pensionato settantenne seduto in piazza alla fine del Corso: «Avessi avuto diciassette anni, mi sarei messo in fila e anch’io sarei andato con quella». Ecco, lo fanno in molti: la vittima, la chiamano «quella». «Ma questi ragazzi mica sono romeni, che picchiano e uccidono». Stupratori gentiluomini. «No davvero, avranno pure sbagliato ma mica si possono rovinare la vita. Tutte queste parlamentari che parlano, accusano, ma questi ragazzi una sera j’è capitata ’sta cosa...». Capitata. Poi dice una frase a forma di battuta, parecchio crudele: «Non tutti i mali vengono per nuocere, adesso quella fija troverà un lavoro...».

Invece, in questa storia, sono i maschietti ad aver trovato lavoro: non tutti, ma molti degli otto adesso, dopo questa storiaccia di violenza, hanno avuto la solidarietà del paese, ricevuto offerte. Racconta Venanzia Piras, della trattoria all’ingresso del paese: «Mio genero ne ha preso uno a lavorare, fa il muratore, e lui gliel’ha detto, proprio l’altra sera, l’ha rimproverato, ma quel ragazzo ha detto che la ragazza era ubriaca e che loro, sì, avevano sbagliato... Io non so come siano andate le cose, ma certo se lei si pente solo il giorno dopo...». La giornalaia - «non metta il mio nome per carità, in questa storia meglio non esporsi» - è l’unica che dice qualcosa di difficilmente contestabile: «Hanno sbagliato, che paghino». Poi, certo, anche lei ribadisce che «sono ragazzi bravissimi, e bravissime sono le famiglie. Su quei giovani metto la mano sul fuoco, sulla ragazza non so...». Poco distante c’è un posto di blocco, il carabiniere non è molto alto, mezza età, «un appuntato. Perché tutti difendono gli aggressori? Fatevi qualche domanda: perché la ragazza non ha strillato, quella notte? E perché ha parlato dopo un mese?». Sono molte le risposte possibili, quando si ha a che fare con la psiche di una ragazzina che ha subìto violenza. «E comunque quelli sono bravi ragazzi», aggiunge. Il maresciallo lì vicino - viso pulito, bel sorriso - scuote la testa: «Proprio bravi ragazzi, alla luce di quello che hanno fatto, non si può dire».

A metà giornata dunque, all’inizio del paesino, dopo aver parlato con giovani, donne, uomini e anziani, per la prima volta qualcuno pronuncia quella frase: «Bravi ragazzi, non si può dire». Montalto di Castro ha «sei-settemila anime - racconta Padre Eduardo, argentino, parroco di Santa Maria Assunta - e capisco che si possa avere quell’impressione, che tutti si preoccupino degli aggressori e nessuno della vittima. Ma, innanzitutto la ragazza non vive qui ma in un altro paese. E poi, secondo me, il discorso è un altro: visto che quei ragazzini non avevano precedenti erano considerati ragazzi normali, di buona famiglia, ed ecco che ciò che è accaduto è stato uno choc per tutti, ogni famiglia ha cominciato a pensare che una storia così poteva capitare a chiunque, anche al proprio figlio. Per questo tutti hanno cercato di essere vicini a questi ragazzi, hanno dato solidarietà, e lavoro». Mentre la vittima, una ragazzina che all’epoca dei fatti aveva quindici anni, in un paese molto vicino, è lì che cerca un lavoro senza trovarlo. Invece qui, i «bravi ragazzi» vanno a scuola, lavorano, si vedono con gli amici. Raccontano ciò che vogliono. Quei tre ragazzini che giocavano a biliardo, ad esempio, non hanno dubbi: «Lei s’è inventata tutto». E giù aneddoti, su di lei.

Alessandro Capponi

21 ottobre 2009

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