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Quando un disco che ami ti stupisce ancora, dopo anni


Toremoon
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Sono geloso dei dischi che mi piacciono, lo sono tremendamente. Ho sempre il terrore che, riascoltandoli dopo mesi o anni di altre esperienze di vita, mi scadano, perdano quell'alone di stupore che mi lasciavano le prime volte per far posto al luogo della nostalgia. Così il primo dei Doors, Trout Mask Replica, il primo dei Soft Machine, A Love Supreme si trovano come la Madonna a rappresentare reliquie intoccabili della mia fede.

L'altro giorno, poi, mentre sfido le meningi in una gara di associazione contro la parete della mia libreria Billy, la costina della giacca di uno scavato Dylan fa di nuovo breccia nel mio cuore, mi faccio coraggio e perno sul bordo inferiore: ci siamo.

Perchè non esistono frasi per spiegare la moltitudine di sensazioni che si provano nel profondo quando viene a galla l'anima? Perchè non esistono frasi che non terminino con un punto interrogativo per affrontare la scioglievolezza quando questa ti circonda il cuore alle note di Visions of Johanna? E prendo a star male e bene contemporaneamente: come si può coccolare quell'organo gospel nello stesso modo in cui una mamma coccolerebbe il frutto della propria gioia? E di visione in visione mi circondo di tutti i fantasmi Dylaniani: uno ad uno.

One of us must Know (sooner or later) si riaffaccia con quel grido beffardo fino alla stanza del ricordo: non gli ho dato la chiave e non ne aveva bisogno, perchè è lei stessa il passpartout per accedere agli anni della mia esistenza su questa terra, anni fatti delle mille sensazioni che possono circondare gioie, sentimenti, sofferenze e sapori sopiti lì, in fondo alla tasca di mia nonna quando con gioia le piaceva cercare, e cercare, finchè non le veniva fuori quella caramella che gustavo gaudente per il dolce suono dell'amore. E riaffiorano sorrisi, mimiche, lezioni di vita e girandole di colori in un universo dalle dimensione di un'esistenza.

Non so perchè la musica raggiunga il sapore dell'eterno (o meglio: lo so, ma voglio esser geloso anche di questo), ma mi accontento anche solo di brindare al suono di I want You finchè i polmoni terranno. Tanto non servono le gambe per condurre questo ballo: servono speranze, servono fiori e serve quella mano tesa ed uno spicciolo di coraggio per donarsi.

Mi passo la mano aperta sul viso fino ad accarezzare con un unico movimento fronte, occhi, naso e quel sorriso beffardo che appartiene solo a me. Quel sorriso che nasce nei momenti di silenzio fra due persone e che mi fa godere al solo ricodo della futura conversazione:

- Cos'hai? - curiosa

- Nulla.

Forse amo tanto questo disco perchè mi lascia affondare le mani in quello che sono stato e quanto sia diventato, e se non fosse per Sad eyes lady of the Lowlands finirei pure per crederlo. Il numero è imperfetto perchè contempla l'infinito, lo spazio è imperfetto perchè contempla l'infinito ed una domanda, alla fine di tutto, mi riecheggia nella mente e non riesce a trovare una via d'uscita: dove abita l'Eterno? Alle volte, ma solo alle volte, come un lampo di luce s'immette nei canali della mia coscienza una risposta agghiaccante nella sua bellezza: ce l'ho impressa nel fondo della mia anima, ma quella imperitura, stupida gelosia mi impedisce di rivelarla finanche a me stesso; quando, poi, preso da un momento d'estasi sto per rivelare questa sciocca verità, mi accorgo che siamo arrivati alla fine del disco, che un nuovo piatto sta per essere messo sulla tavola e che il mondo ha ancora bisogno di riflettere tutte le tinte di cui è intriso, allora infilo la felpa, alzo il cappuccio sul mio capo e sfodero quel sorriso beffardo di chi crede di sapere ed è felice di sé.

Se su questi forum ci fosse ancora Luigi, gli augurerei di capire che il superfluo di cui lui parlava, era tutto che rende l'uomo UOMO. Ma adesso è tardi: devo infilarmi quel sorriso beffardo. A dopo.

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Anche a me piace scrivere di musica come Tore, arricchire le note di immagini, non trasformare l'ascolto in un semplice rumore di fondo, ma farlo diventare il protagonista mentre scorrono, a volte lenti a volte veloci, i tralci della vita.

Scrivo per una fanzine dei Genesis e ora sto raccontando, in una rubrica che gestisco, le mie emozioni che mi affrontano quando ascolto i dischi dei Genesis... è lì che sono veramente Mad Man Moon.

Presentazione

Capita a volte che, quando ci si presenti, alcuni di noi avvertano un leggero imbarazzo forse addirittura vergogna, quasi che il semplice conoscersi possa turbare la storia degli eventi.

Questa presentazione vorrebbe partire in punta di piedi, senza rumore, senza pretese... come quando passeggiamo, in una mattina malinconica, e un vento leggero ci conduce verso una giornata di sole.

Salve! io sono MadManMoon. E questa è la mia storia.

Sono nato a mezzodì di un sabato piovoso di metà-ottobre 1981, uscendo da scuola cercavo mio padre senza sapere ancora cosa avrei trovato, come tante volte entrai in auto accendendo la radio e mentre l’ingolfato groppo sussultante di una, fin troppo amica, Fiat 128 spezzava il ritmato ticchettio della pioggia sui vetri e il nostro umano vapore aggrappato ai lunotti resisteva al soffio di bocche sfiatate, una gracchiante voce da Hit-Parade bucava l’aria familiare.

Una leggera e superficiale coltre di parole accompagnava il ritorno a casa di un tredicenne, quando l’attenzione fu catturata da un annuncio tanto normale quanto vuoto (“…al settimo posto, new entry, il nuovo long playing dei Genesis: ABACAB…”). MadManMoon ebbe inizio lì, nelle note che seguirono quelle parole, …niente di trionfale …niente di sensazionale, solo la curiosità di ascoltare cosa potesse raccontare un nome così strano…

Gli eventi e le emozioni s’incastrarono nei giorni a venire. Dapprima cercai la tenacia per sopportare le delusioni di tanti mancati arrivi di un nastro così chiesto e desiderato, poi trovai la pazienza di sopportare le facili ironie durante il febbrile scarto di un regalo natalizio e infine lasciai andare l’insopprimibile curiosità di sentire brani fuori dai confini fino a quel momento esplorati.

La prima volta che passai tutto il nastro fu un disastro, tutto quello che mi aspettavo non c’era, non avevo trovato nulla… ma risentirlo fu un attimo e forse la seconda volta fu anche peggiore della prima, la fretta di scavare era la stessa di un archeologo che cercasse reperti con un piccone e il risultato fu lo stesso: cocci inservibili e insignificanti, ma la forza quasi rabbiosa nel risentire quel nastro era l’unica cosa certa che traspariva dalla mia strana determinazione.

E’ inspiegabile capire cosa sia scattato da un certo punto in poi, forse il sentire si è veramente trasformato in ascolto, forse la musica ha deciso di farsi ascoltare, di farsi comprendere, il tac è arrivato e la simbiosi che è nata tra le mie emozioni e l’arte dei Genesis, è qualcosa di più di semplice ascolto, è’ qualcosa che è nato, cresciuto e maturato con me, che ha avuto il suo massimo vertice nella conoscenza del passato di un gruppo che ha contribuito a crearmi un futuro… e il futuro di MadManMoon è anche ora, in questa rubrica, che vorrebbe essere la voce di un’emozione, il suo colore, il suo ritratto – ovviamente tutto targato Genesis! – è il tentativo di creare uno spazio per raccontarci cosa ci fa decidere di metter su un filotto di canzoni, apparentemente scollegate tra loro, ma che in quel momento è “perfetto” o perché quando ascolto dal minuto 4’50” a 5’36” di The colony of slipperman provo sempre un brivido lungo la schiena e tanto, tanto altro...

Beh! Forse il tempo a mia disposizione è scaduto, cosa ho dimenticato? Ah già il nome della rubrica! che, come potreste aver già immaginato, è Mad Man Moon. Ora ho proprio detto tutto, non mi resta che salutarvi, in attesa trepidante dell’arrivo dei vostri scritti, che, sono sicuro, saranno tantissimi e ricchissimi di emozioni perché, anche se cerca di nasconderlo, ogni Uomo ha una Luna nella sua Follia

Prima Tappa…

… dove eravano rimasti? Ah già! All’incontro tra Mad Man Moon e i Genesis!

Un incontro in un luogo chiamato Abacab, dove i 48’ che contengono questo spazio si attorcigliano diventando attimo ed eternità. Per me era la prima volta e come ogni “prima volta”, porta insieme gioie e dolori, quelle di scoprire una stanza segreta nel tuo mondo, quelli che ogni esperienza forte ti procura in sensazioni ed emozioni… stanze segrete …quante stanze segrete ho trovato (anche senza cercarle, a volte) nel mio arrampicare su per la vita …quella dei Genesis è stata una delle più grandi, ricca di mille angoli nascosti e dietro questi delle finestre aperte su nuovi angoli nascosti.

Ora sto proprio riascoltando ABACAB e, insieme, riandando a quei giorni, è dura cercare di trovare in questo baule di ricordi quello più netto, una cosa che mi rimane ancora oggi è il pizzicore che sento in fondo allo stomaco con la partenza proprio del pezzo Abacab, il pizzicore di quando un bambino aspetta che la banda gli passi davanti, sentire per prima la batteria che scandisce il ritmo, quella chitarra che sembra annunciare che stanno per arrivare… eccoli, eccoli, sento la tastiera, ancora la batteria… la voce e quel finale, che ancora non sapevo essere una caratteristica genesiana, così personale dove ognuno sembra che parli di se, dove tutto è come un mazzo di fiori: vedo tastiere toccate appena, come piccole roselline bianche, una batteria con tempi e controtempi come sostanziose orchidee e chitarre prima di contorno e poi protagoniste, come margherite di campo, il tutto venato da una spruzzata di malinconia autunnale (…non so perché ma mi ho sempre avuto la sensazione che fosse un disco malinconico…), la mia stagione e i miei colori preferiti. Cavolo c’è da perdersi! No replay at all arriva come una primaverile domenica di sole leggera e calda, nella quale però ti sei svegliato troppo tardi e sai che hai perso qualcosa che non riavrai, poco oltre la metà del pezzo arriva una nuvoletta a velare il sole, facendoti assaporare un po’ di fresco e intorno a te respiri colori e profondità completamente diversi, ma poi la nuvola passa e torna tutto leggero e caldo. Non so perché, ma il titolo Me and Sarah Jane mi ha sempre fatto pensare a Tarzan, mentre scorre il pezzo me lo immagino volare attaccato ad una liana da un albero all’altro, con la scioltezza di chi ci è nato tra quegli alberi, ancora lo rivedo nei miei ricordi correre nella savana possente come un leone o agile come una gazzella, il sapore di un finale “in discesa” (come li chiamo io) aiuta a tenere su i fotogrammi che si allontanano finché non riesci a vederli più. Con Keep it dark sono con una motocicletta (altra stanza segreta della mia vita…), cerco di metterla in moto, tiro in giù la pedivella con forza 1, 2, 3 volte (nell’81 gli starter elettrici erano rari…), parte e io con lei, la strada costeggia un costone di montagna, in lieve salita, una curva sembra non finire mai, mi ci appoggio tra ombre di fronde e rari squarci di luce, la salita accentua un po’, do gas leggermente e con docilità lei risponde, finita la curva la strada comincia a scendere quasi scodinzolando, le zone ombrose si diradano e d’un tratto vedo il mare aprirsi sotto di me, come se ci potessi finire dentro al successivo tornante, azzurro e in parte ricoperto da quella patina dorata che gli dona il sole nelle ore che precedono il momento in cui questi si addormenta.

Il nastro interrompe i suoi giri e fa staccare il tasto Play… è ora di cambiare lato.

Inizialmente Dodo – Lurker l’ho odiata, come osava paragonarsi ad Abacab, primo pezzo del lato, lunga addirittura più di Lei, pomposa e sfarzosa senza sembrarlo meritare, non mi piaceva proprio! ora è diverso, mi da quasi l’impressione di un cavallo che, inizialmente, non vuol farsi domare ma che poi sa donarti comunque molto. Who dunnit? e Man on the corner mi sono sempre state indifferenti, come se non fossero state composte dai Genesis, troppo essenziali, quasi senz’anima, non mi lasciavano nessuna emozione, come un incontro in metropolitana tra due persone troppo piene dei loro pensieri per svelarsi, Like it or not, invece, mi piaceva molto, avevo l’impressione di essere avvolto in una calda coperta a scacchi grandi rossi e blu, seduto su un divano color canna da zucchero striato d’arancio, davanti ad un fuoco che scoppietta ancora anche se sta dolcemente assopendosi, il rossiccio di quella unica fonte di luce che si riflette su quell’ultimo bicchiere che forse finirò prima di andare a dormire… Another record mi ha sempre affascinato, specie l’inizio che richiama un’alba quasi spettrale, le nebbiose pianure che provano a respingere il giorno che avanza mentre l’occhio si posa sulle ultime immagini non più comprese, poi la nebbia dirada, le stelle scoloriscono alla luce nuova e tutto passa, fino al sorgere di una nuova Luna nella mia Follia.

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