È quando puoi credere di notare nel profondo dei suoi occhi lo specchio in cui intravedi l'anima tua stessa; far tornare alla memoria l'odore (sì, odore, non profumo): l'univoco identificativo che sia quella persona e non chiunque altro; pensare di accarezzarne il volto, e la sensazione diventa verosimile in maniera quasi imbarazzante.
Parte dunque una sensazione, una “struggenza”, che non è proprio lo struggimento: è una sensazione volontaria, il godere appieno di questo struggimento, della malinconia; non fa il paio con l'amor di morte giovanile, ma gli è vicino parente.
Un modo sereno di assaporare tutte le sensazioni, porte aperte per i sentimenti: se le si spalanca bene, entrano d'impeto pure quelli.
E a quel punto sei fottuto.
Il gioco non è più tuo. Il cervello va da solo – a questo punto altri già cambiano organo e parlano di “cuore” – e ti porta in luoghi che non conosci, o che non ricordi.
Cambiando organo ancora, ci vuole fegato per continuare.
Sottile s'insinua il timore, la paura dell'errore: tolti i saldi binari della logica, tutto va serenamente a farsi benedire. Il progetto leonardesco della propria mente diventa una follia di Dalì, dove gli orologi sono mosci come pezze appese e nessuno si stupisce: c'è infatti una linea in questo, ma fuori dalla logica. Un fine, un arrivo; desiderato, anelato, spaventoso e quanto più tremendo, tanto più voluto.
Un mare vorticoso, infido e crudele, a cui è bene cedere subito, tanto è netta la sensazione che non c'è verso di salvarsi.
Naufragare è l'unica.